Affermare di avere l’ansia è una delle frasi più usate e abusate dei nostri giorni. Ma è d’uopo chiarire cosa si intenda e quando tale affermazione abbia un senso ed una rilevanza clinica.
Definizione di ansia
L’American Psichiatric Association descrive l’ansia come “L’anticipazione apprensiva di un pericolo o di un evento negativo futuro, accompagnata da sentimenti di disforia o da sintomi fisici di tensione. Gli elementi esposti al rischio possono appartenere sia al mondo interno che a quello esterno”.
Si tratta dunque, di uno stato emotivo, non necessariamente sgradevole, associato ad una condizione di allerta e paura che si esplica attraverso una reazione esagerata rispetto alla reale situazione.
Da disagio a disturbo
Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM–5, Quinta edizione) indica che lo stato d’ansia assume la connotazione di disturbo discostandosi da un puro stato di paura quando la sintomatologia percepita diventi eccessiva o persistente nei mesi.
Tra i sintomi fisiologici più comuni si riscontrano:
- aumento del battito cardiaco,
- aumento della sudorazione,
- tremori,
- sensazione di soffocamento,
- nausea,
- sensazione di svenimento,
- formicolio agli arti,
- paura di “impazzire” o di morire.
L’ansia non si configura necessariamente quale elemento negativo in quanto, in proporzioni adeguate, risulta fondamentale per attivare tutte le risorse necessarie a fronteggiare una situazione complessa o, in alternativa, a valutare se sia necessario fuggire dalla stessa. In sintesi, una “giusta” dose d’ansia aiuta la performance. Ma quando lo stato emotivo supera in intensità il naturale livello di guardia, la sintomatologia insorgente tende a bloccare la funzionalità e a ridurre drasticamente la performance.
È in questi casi, quando il disturbo ansioso diventa ostativo allo svolgimento delle attività quotidiane, che è necessario intervenire con una terapia psicologica che punti a risolvere lo stato di allarme e ad insegnare a contenere lo stato d’ansia nei confini di funzionalità.